L’art. 14, co. 2, del T.U. Immigrazione al vaglio della Consulta
Con ordinanza del 17 ottobre 2024 il Giudice di pace di Roma ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. 286/98 (testo unico immigrazione), per violazione della riserva di legge di cui agli artt. 13, co. 2, e 10, co. 2, Cost., dal momento che nel prevedere una misura restrittiva della libertà personale, quale è il trattenimento dello straniero all’interno di un CPR, non ne disciplina i modi, come l’art. 13 Cost. richiede. La questione è sollevata anche per la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. (con riferimento agli artt. 2, 13, 24, 25, 111 Cost.), per l’ingiustificata differenza di trattamento con la detenzione penale, in relazione alla quale la legge di ordinamento penitenziario disciplina i modi della privazione della libertà ed attribuisce alla magistratura di sorveglianza il controllo sull’esecuzione della stessa.
Proponiamo una breve sintesi della ordinanza a firma di Paolo Oddi.
La questione per il GOP è rilevante e non manifestamente infondata.
È rilevante perché, qualora venisse convalidato il trattenimento (disposto dal Questore di Roma), esso comporterebbe la permanenza coatta nel C.P.R. della cittadina straniera almeno per tre mesi (ma potenzialmente fino a 18 mesi, ai sensi dell’art. 14, comma 5, d.lgs. 286/98) “in stato di restrizione della libertà personale, tutelata dall’art. 13 Cost., secondo modalità a tutt’oggi non disciplinate da una normativa di rango primario, in violazione della riserva di legge prevista dalla citata norma della Costituzione italiana”. Stante che i termini per convalidare non sono ancora scaduti e che il GOP ritiene che nella specie il caso rientri tra quelli previsti dall’art. 14, co. 1, t.u. imm. per i quali deve essere disposto il trattenimento, la questione prospettata è indubbiamente rilevante nel procedimento de quo.
In ordine alla valutazione di non manifesta infondatezza, la GOP ricostruisce i confini normativi, nazionali ed europei, dell’istituto del trattenimento, concludendo che esso comporta la privazione della libertà personale - sia pure al di fuori della materia penale- e prende come parametri di riferimento l’art. 13, co. 2, della Costituzione italiana e l’art. 3 Cost., in combinato disposto con l’art. 10, co. 2, Cost.
In primo luogo, sono i “modi e i procedimenti del trattenimento amministrativo” a non essere puntualmente disciplinati da una normativa di rango primario, in violazione della riserva assoluta di legge prevista dall’art. 13, co. 2, della Costituzione italiana, della riserva rinforzata di legge di cui all’art. 10, co. 2, Cost., e in violazione altresì del principio di eguaglianza (art. 3 Cost., in relazione agli artt. 2, 13, 24, 25, co. 1, 111, comma 1, Cost.) “con riferimento al caso analogo della detenzione in sede penale, disciplinata dall’Ordinamento Penitenziario (l. 354/1975), per la quale il controllo sulla legalità delle modalità di trattenimento è garantita dalla magistratura di sorveglianza, organo specializzato nella materia (art. 102, comma 2, Cost.)”.
Per la Giudice “che si tratti di riserva assoluta di legge e che sussista la necessità che la legge preveda e disciplini compiutamente ‘i modi’, oltre che i ‘casi’, della misura che incida sulla libertà personale risulta confermato anche dalla recente sentenza n. 22/2022 della Corte Costituzionale in un caso analogo (la privazione della libertà nelle “REMS”)”. Ad avviso del giudice a quo l’art. 14 del t.u. imm. è pertanto rispettoso della riserva di legge soltanto riguardo ai “casi” del trattenimento, compiutamente definiti al comma 1 di detta norma; mentre si dubita della conformità del comma 2 del medesimo articolo circa i “modi” di detta restrizione “salvo il riferimento generico (e in definitiva ‘superfluo’) a principi di carattere generale, la cui applicazione è pacificamente riconosciuta nel nostro ordinamento giuridico”, oltre a un rinvio a una fonte subordinata; il quale rinvio non potrebbe comunque valere per l’individuazione “del giudice competente al controllo dei ‘modi’ del trattenimento amministrativo, riservata alla legge dall’art. 25, comma 1, Cost.”.
Il raffronto immediato è con l’Ordinamento Penitenziario che regola puntualmente le modalità in cui deve svolgersi la detenzione in sede penale e le connesse garanzie. Non è nemmeno sufficiente, per superare il dubbio di legittimità costituzionale, l’interpretazione “estensiva” che individuerebbe nel giudice di pace l’autorità analoga alla magistratura di sorveglianza, “posto che la legge (art. 14, comma 2, d.lgs. 286/98) non disciplina né il ruolo né i poteri del giudice di pace rispetto agli stranieri trattenuti nei C.P.R., in stato di detenzione amministrativa”.
In secondo luogo, l’art. 14, co. 2, t.u. imm., integrerebbe una violazione dell’art. 3 della Costituzione, ovvero del principio di eguaglianza con riferimento al diritto alla libertà personale, introducendo una irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento con la situazione, sostanzialmente identica, della detenzione in sede penale.
Per la GOP “non si può dubitare del fatto che il principio di eguaglianza sancito nell’art. 3 della Costituzione italiana valga anche per lo straniero, rispetto al cittadino italiano, nella sfera dei diritti inviolabili, tra cui la libertà personale (..)”. Per i detenuti all’interno degli istituti carcerari in sede penale, secondo l’Ordinamento Penitenziario, vengono infatti disciplinati analiticamente i “modi” della detenzione e, al riguardo, si individuano ruoli e compiti della magistratura di sorveglianza.
Una tale disparità di trattamento non sarebbe, infatti, giustificata per il perseguimento di “fini costituzionali”, poiché la difesa dei confini nazionali dall’immigrazione irregolare, anche se intesa quale legittimo “fine costituzionale” “non potrebbe che essere considerato “subalterno”, rispetto alla necessità di tutelare e garantire il bene supremo della libertà personale dell’individuo, diritto inviolabile che spetta agli uomini in quanto tali, in eguale metaforica misura”.
Infine, la Giudice si sofferma sull’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata in considerazione “della natura stessa del dubbio in oggetto, che riguarda fondamentalmente la violazione della riserva di legge assoluta per le ragioni evidenziate.