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16 Settembre 2024

Il progetto dello sportello per detenuti stranieri non comunitari presso il carcere di San Vittore

  1. Introduzione

Quanto segue è un resoconto, inevitabilmente parziale, dell’esperienza ‘collettiva’ dello sportello giuridico per detenuti stranieri non europei, che da più di un anno è operativo presso il carcere di San Vittore.

Raccontare, in sintesi, di quest’esperienza, è un tentativo di comporre il complicato puzzle del più sovraffollato carcere italiano – in un contesto generale di grave sovraffollamento di cui sta soffrendo il sistema penitenziario nel suo insieme[1]–, nel quale almeno due terzi dei reclusi è di origine straniera[2]. Le nazionalità presenti sono le più disparate, con una prevalenza di cittadini provenienti dal nord Africa.  

La peculiarità di San Vittore consiste anche nel fatto che si tratta di una casa circondariale, cioè di un istituto destinato in prevalenza alle persone arrestate sul territorio metropolitano ed in custodia cautelare in carcere. I reclusi che stiamo incontrando – per la quasi totalità – non sono stati ancora condannati in via definitiva. La loro permanenza è pertanto assai fluttuante, dipendendo dalle vicissitudini della misura cautelare di cui sono destinatari (molto frequentemente gli stranieri non dispongono, infatti, di un alloggio idoneo per ottenere gli arresti domiciliari)[3].

Lo sportello nasce dalla constatazione che i detenuti non europei necessitano di un ‘plus’ di informazione legale, specie sulle questioni della c.d. crimmigration, cioè su quei temi che caratterizzano la loro specifica condizione giuridica, intrecciando il diritto penale e processuale penale con il diritto dell’immigrazione[4].

Il progetto è realizzato nell’ambito del corso di Clinica legale in giustizia penale dell’Università degli Studi  di Milano ed è portato avanti da studenti, ex studenti delle passate edizioni del corso, dottorandi e assegnisti di ricerca, del dipartimento Cesare Beccaria, con la supervisione della Professoressa Angela Della Bella e di alcuni professionisti esperti della materia, tra i quali il sottoscritto.

Tale progetto si è posto un duplice obiettivo: da un lato fornire agli utenti stranieri – doppiamente vulnerabili (perché detenuti e perché stranieri) – una migliore informazione giuridica sulle questioni appena menzionate; dall’altro quello di provare ad estrapolare nel corso dell’esperienza alcune  ‘macro questioni’ – cioè problematiche ricorrenti lamentate dai detenuti –, che possano essere approcciate e chiarite in via più generale attraverso strumenti utili a tal fine, come: azioni mirate di sensibilizzazione o richieste di interventi di ordine generale alle istituzioni; materiali informativi; piccoli corsi a gruppi di reclusi sui fondamenti del processo penali, tenuti dai dottorandi con l’ausilio di mediatori interculturali[5].

Un ulteriore ed ambizioso obiettivo è stato quello di rendere tale sportello ‘permanente’, cioè fruibile non solo durante i mesi del corso della clinica legale ma tutto l’anno. Da qui il coinvolgimento di dottorandi e assegnisti di ricerca del dipartimento, i quali – unitamente ad alcuni ex studenti ed avvocati già collaboratori della clinica – si alternano per dare continuità al servizio.

In considerazione dell’utenza straniera a cui si rivolge, si è deciso di coinvolgere nelle attività di sportello anche gli studenti della facoltà di mediazione linguistica e interculturale della stessa università, la cui presenza è assai preziosa per la comprensione di coloro che non parlano né comprendono l’italiano[6].

L’approdo presso la casa circondariale di San Vittore si pone in continuità con le esperienze realizzate, negli anni scorsi, nell’ambito della c.d. street law della Clinica legale[7], ed è assai sfidante per le complessità del contesto prescelto, quello dei detenuti stranieri non europei in fase di giudizio presso il carcere di San Vittore.

Va evidenziato quanto il progetto stia risultando assai formativo per i soggetti che lo animano, i quali imparano a muoversi sul terreno accidentato e imprevedibile dell’incontro con i detenuti stranieri, ragazzi il più delle volte loro coetanei ma dalle vite decisamente meno fortunate, nel tentativo di fornire qualche chiarimento in ordine alle questioni che preoccupano gli utenti.

Prima di accedere all’esperienza dello sportello agli operatori viene fornita una preparazione specifica, da quest’anno anche attraverso il corso Questioni di crimmigration tenuto dal sottoscritto.

A ciò si aggiunga la continua interazione con gli operatori del carcere, sia dell’area educativa che dell’area sanitaria, con gli agenti di rete, con il mediatore culturale di origine araba in forza presso l’istituto e con la polizia penitenziaria. Si tratta di un’immersione totale nelle tante sfaccettature del mondo della casa circondariale, con variabili e complessità da imparare a decifrare, settimana dopo settimana.

  1. L’utenza, le storie dei detenuti migranti e le questioni giuridiche rilevanti. Analisi di un campione di 48 utenti passati per lo sportello

Da fine marzo 2023 (avvio del progetto) a maggio 2024 lo sportello ha incontrato 134 detenuti stranieri.

In maggioranza si tratta di giovani e giovanissimi dal nord Africa – Marocco, Egitto, Tunisia –, molti dei quali hanno problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti ed evidenti vulnerabilità psichiatriche.

Gli ‘sportellisti-operatori’ accedono una mattina alla settimana e sono almeno in tre: due studenti e un tutor. Diverse volte ci avvaliamo di uno studente di mediazione linguistica e culturale che si aggiunge al team dei giuristi e che si rivela decisivo per comprendere meglio storie e richieste degli utenti.

Gli operatori di turno compilano una scheda con la quale raccolgono alcune informazioni ‘base’ – età, provenienza, reato, presenza o meno di familiari sul territorio nazionale, titolarità o meno di un permesso di soggiorno, pregresse espulsioni, etc. – e cercano di comprendere le richieste del detenuto per fornire chiarimenti, se possibile al momento del colloquio, o successivamente, laddove sia necessario un approfondimento.

Gli utenti stranieri sono spesso portatori di un racconto disorganizzato ed emotivamente coinvolgente, caratterizzato dall’urgenza della condizione che stanno vivendo e dalle molteplici problematiche della detenzione. Essi arrivano allo sportello con svariati documenti relativi al proprio procedimento, il più delle volte incompleti.

Si fatica a spiegare che il nostro compito non è quello di dare consigli relativi alle vicende processuali – stante il fatto che ciascuno è assistito da un difensore, il più delle volte d’ufficio, al quale deve rivolgersi per la propria specifica situazione – ma di aiutarli a comprendere le prospettive della loro permanenza in Italia all’esito del processo, ovvero le questioni relative ai loro permessi di soggiorno (se ne erano o ne sono in possesso), nonché relative alle eventuali espulsioni amministrative o giudiziarie che possono riguardarli e in ordine alle peculiarità dell’esecuzione penale – una volta diventati definitivi.  

Il chiarimento su questi aspetti è, infatti, spesso determinante per capire se sia possibile esercitare alcuni diritti anche in corso di reclusione, come nel caso in cui si debba richiedere il rinnovo del permesso di soggiorno dal carcere, avanzare una domanda di protezione internazionale, eccepire un divieto di espulsione, o ancora avviare un contenzioso in materia di immigrazione[8]. La comprensione delle normative e delle procedure in materia di immigrazione e di come la dimensione penale ricada sulla condizione di straniero è di fondamentale importanza per organizzare una difesa efficace e realistica, abbassando conseguentemente il livello d’ansia che è particolarmente alto in assenza di adeguate informazioni[9].

Analizzando un campione di quarantotto detenuti passati dallo sportello si ricava, ad esempio, che solo undici dichiarano di essere arrivati tra il 2020 ed il 2023, mentre il resto è arrivato in Italia prima del 2020. Pochi (nell’ordine di tre o quattro persone) sono in Italia da più di tredici anni. Del campione, diciannove ci parlano di problematiche di dipendenza da svariate sostanze (spesso si tratta di poli-abusatori) e molti lamentano di non riuscire a farsi prendere in carico dal servizio per le tossicodipendenze per assenza di un documento di identificazione (anche di una semplice fotocopia)[10]. Ci appaiono anche evidenti le sofferenze psichiche, non necessariamente diagnosticate come disturbi specifici.

Meno della metà del campione ha familiari in Italia e per chi li ha non è quasi mai chiara l’effettiva portata di tali legami, ovvero se il detenuto anche prima dell’ingresso in carcere avesse già difficoltà con detti parenti.

La condizione più drammatica che abbiamo riscontrato è quella degli ex minori stranieri non accompagnati. Nel corso del 2023 è emerso che tra i detenuti di San Vittore vi fosse qualcuno ancora minorenne, che è stato poi trasferito presso il carcere minorile[11].

Questi ragazzi, giovanissimi ed in prevalenza arabi, appaiono letteralmente sperduti.

Ci parlano del loro percorso migratorio come di un’avventura, che sembra più una fuga dalla famiglia d’origine che non una scelta ponderata e calcolata anche con quest’ultima. Sono arrivati con i ‘barconi’ attraverso la rotta del Mediterraneo centrale. Alcuni anche dalla Spagna o a piedi dai Balcani. Non pochi sono transitati per la Libia, subendo pesanti maltrattamenti. Diversi sono scappati dalle comunità che li avevano presi in carico (in Sicilia ma anche in altri paesi europei) e sono approdati a Milano con la convinzione di avere più possibilità di trovare lavoro. C’è chi vive in strada ed in condizioni di estrema marginalità. È in questo ambito che matura il fatto delittuoso che li ha portati in carcere; un fatto dai contorni che sembrano più occasionali e legati alla sopravvivenza piuttosto che frutto di una scelta deliberata a delinquere.

I gesti di autolesionismo, specie tra questi giovani che faticano ad esprimersi in italiano, sono purtroppo molto frequenti.

Sin dai primi colloqui ci siamo accorti che, per molti, un tema che genera ansia e sofferenze – e che talvolta è proprio all’origine dei gesti autolesivi – è quello di non riuscire a telefonare in tempi brevi alle famiglie d’origine per informarli della loro condizione. Ciò dipende(va) dalla procedura autorizzatoria particolarmente lenta e complessa, che richiede(va) un successivo passaggio di detta istanza davanti al giudice competente.  

Come sportello, unitamente al Garante territoriale delle persone ristrette, ci siamo attivati per capire come ottenere una velocizzazione dell’ iter delle telefonate e, dialogando con il Tribunale di Milano, siamo riusciti ad ottenere una circolare interna al tribunale che consenta all’arrestato, sin dall’udienza di convalida, di vedersi autorizzare subito la chiamata dal giudice, riservando successivamente a San Vittore il solo controllo dell’effettiva validità e titolarità dell’utenza del numero telefonico indicato[12].

Anche dai dati che ci sono stati forniti dalla direzione del carcere, emerge con forza la questione della solitudine di gran parte dei reclusi.

Sul numero totale della popolazione di San Vittore (che supera i mille detenuti), infatti, solo duecento ricevono periodicamente visite dai familiari. Ciò fa comprendere quanto il tema della fruibilità delle telefonate sia di fondamentale importanza per ridurre lo stato di ansia di chi è più solo.

Ritornando al campione analizzato, circa trenta detenuti che si sono recati allo sportello riferiscono di permessi di soggiorno scaduti o in scadenza, per motivi di lavoro o familiari. La questione che pongono è se e come possano recuperare la regolarità del soggiorno. Raramente sono in possesso di una fotocopia del permesso o della ricevuta attestante il rinnovo.

Allo stato non sembra garantita la possibilità di richiedere il rinnovo dal carcere per tutti coloro che hanno il titolo in scadenza durante la detenzione, sebbene la circolare del Ministero dell’interno del 3 luglio 2007 lo preveda espressamente[13].

Alcuni riferiscono di avere ottenuto una qualche forma di protezione (internazionale o nazionale) ma nessuno ha in mano documentazione che lo attesti[14].

Molti sono i recidivi – alcuni hanno riportato condanne anche da minorenni – e diversi riferiscono di pregresse espulsioni e di periodi di trattenimento presso un Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR)[15]. Solo uno riferisce di avere inoltrato per il tramite del legale istanza di autorizzazione alla permanenza al Tribunale per i minorenni nell’interesse dei tre figli minori al fine di vedersi riconoscere il diritto al corrispondente permesso di soggiorno.

Per quanto ci è dato comprendere, sulla base del racconto degli utenti o visionando alcuni documenti che ci mostrano, la grande maggioranza del campione è in custodia cautelare in carcere per reati in materia di stupefacenti (anche ipotesi di lieve entità) e/o reati contro il patrimonio (per lo più furti o rapine, consumati o tentati), spesso in concorso con altri soggetti.

Solo una minoranza deve rispondere di delitti contro la persona (violenza sessuale, stalking, lesioni personali). Diversi sono accusati di resistenza o violenza a pubblico ufficiale. Sino ad oggi abbiamo incontrato solo due persone accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Spesso si tratta di reati che si consumano in strada in un contesto di marginalità sociale. I più sono arrestati in flagranza e sono processati con rito direttissimo; una minoranza è ristretta a seguito di ordinanza custodiale. Colpisce la frequente incomprensione del percorso processuale e dei vari istituti del diritto penale, dal significato di accedere a un rito alternativo alla comprensione di cosa significhi beneficiare delle circostanze attenuanti generiche.

Per colmare questo deficit di conoscenze, come Clinica, abbiamo attivato, sempre all’interno di San Vittore,  un ciclo di tre incontri, in collaborazione con la Clinica legale dell’Università Bocconi, destinato ai detenuti stranieri, sui temi della procedura penale e dell’esecuzione. Gli incontri si sono svolti prima dell’estate, ma siamo già in procinto di attivare a settembre un nuovo ciclo, in collaborazione anche con i mediatori dell’istituto.

Un dato che abbiamo riscontrato è il cambio frequente di legali: alcuni utenti ci raccontano di difficoltà a relazionarsi con il difensore d’ufficio; altri ci dicono di confidare nel passaparola tra detenuti che segnalano un tal avvocato come più attrezzato nei compiti difensivi, per poi rimanere delusi e indicarne uno nuovo.

Tra coloro che abbiamo incontrato dall’avvio del progetto, pochi sono consapevoli del diritto a beneficiare del patrocinio a spese dello Stato e della facoltà per il difensore – d’ufficio o di fiducia che sia – di potersi avvalere di un consulente di parte in qualità di interprete al fine di potere comunicare con il proprio assistito quando non parla e non comprende né la lingua italiana, né le altre lingue straniere più note.

  1. Conclusioni (parziali)

In un carcere sovraffollato come quello di San Vittore la componente di detenuti stranieri impatta in maniera notevole.

Per ciò che abbiamo potuto constatare, i più di seicento giovani e giovanissimi reclusi, provenienti da differenti Paesi e con differenti culture, richiederebbero operatori specializzati, con background multiculturali e multilinguistici.

Sicuramente servirebbero più mediatori che, da qualche settimana, ci risultano siano stati implementati.

Anche gli avvocati, specie quelli iscritti alle liste delle difese d’ufficio, dovrebbero essere sensibilizzati ai temi della crimmigration e sollecitati a dotarsi di tutti gli strumenti che l’ordinamento prevede per garantire la comprensione linguistica del processo.

Ma, più in generale, l’interrogativo ricorrente, rilanciato anche dai media, è se il sistema penitenziario possa reggere ad un tale sovraffollamento.

A fronte dell’alto numero di suicidi o comunque di morti tragiche nelle carceri italiane, da ultimo, proprio a San Vittore, quella del diciottenne Youssef, la risposta non può che essere negativa.

È evidente che i soggetti ristretti in carcere malgrado una conclamata tossicodipendenza o una diagnosi psichiatrica non dovrebbero trovarsi a San Vittore.

Per coloro che sono stati giudicati non imputabili per vizio totale o parziale di mente servirebbero posti nelle Rems o in comunità terapeutiche, ma anche per coloro la cui malattia mentale insorge successivamente alla condanna.

Per le persone che necessitano di cure per la tossicodipendenza è fondamentale un percorso riabilitativo comunitario. Tuttavia, constatiamo come per gli stranieri sprovvisti di documenti di identificazione la strada sia impervia.

Ma anche a prescindere da patologie e dipendenze che richiedono cure adeguate e l’applicazione di strumenti ed istituti già previsti dall’ordinamento, per gli stranieri più vulnerabili sarebbe necessaria una differente tipologia di custodia, pensata ad esempio per giovani adulti portatori di significativi traumi migratori.

Si tratterà di capire se il decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92, c.d. ‘carcere sicuro’, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2024 n. 112, una volta a regime, realizzerà quanto previsto in materia di assunzione di personale, di incremento del numero di telefonate dei detenuti e del potenziamento di strutture residenziali per chi non possiede di un domicilio idoneo, come la stragrande maggioranza degli utenti del nostro sportello.

Tali riforme, se attuate, potrebbero essere di beneficio anche per questa componente della popolazione di San Vittore così fragile e sofferente.

Sarà nostro compito, nel prosieguo di questa esperienza, monitorare quanto effettivi siano questi prospettati cambiamenti.

Nel frattempo, lo sportello prosegue la sua attività cercando sempre di migliorarsi.

[1] Si vedano i dati pubblicati sul sito del Ministero della Giustizia aggiornati al 30 giugno 2024. Si v. anche lo studio diacronico del Garante nazionale sull’indice di sovraffollamento della popolazione detenuta. Al 18 agosto 2024 la media del dato di sovraffollamento delle carceri in Italia è del 131,06%, con San Vittore a Milano che raggiunge un indice del 220,98% (fonte ilsole24ore.com). Si veda ancora il 20mo rapporto dell’Associazione Antigone.

[2] Il dato ci è stato fornito dalla direzione della casa circondariale. Per un’analisi della presenza degli stranieri nei penitenziari italiani si v. l’approfondimento sul tema del menzionato 20mo rapporto dell’Associazione Antigone.

[3] Sebbene l’ordinamento consideri la custodia cautelare in carcere come extrema ratio, per gli stranieri è la norma, spesso per l’assenza di un domicilio.

[4] È la giurista americana Jiuliet Stumpf ad avere coniato questo neologismo che descrive la progressiva sovrapposizione tra diritto penale e diritto dell’immigrazione. Per una completa disamina della crimmigration nell’ordinamento italiano si v. la tesi di dottorato di G. Mentasti,  La crimmigration nel sistema italiano: tra scelte di incriminazione e ricorso al trattenimento amministrativo.

[5] Quest’ultima idea di un breve ciclo di lezioni sui fondamenti del processo e dell’esecuzione penale è in corso di realizzazione insieme ai tutor dello sportello dell’Università Bocconi rivolto a detenuti italiani ed europei, si v. infra

[6] Al momento, grazie alla Prof.ssa Letizia Osti e al Prof. Marco Golfetto dell’Università Statale di Milano – facoltà di mediazione linguistica e interculturale –, sono stati coinvolti diversi studenti di lingua e cultura araba.

[7] Negli scorsi anni, gli studenti del corso di clinica legale - street law della Prof.ssa Angela Della Bella si sono misurati con il servizio di etnopsichiatria dell’Ospedale Niguarda, il centro di accoglienza per richiedenti protezione internazionale di Casa Chiaravalle, il servizio di consulenza legale di Casa della Carità, l’istituto di reclusione di Milano-Bollate (per il quale è stato prodotto  anche un vademecum) e hanno altresì interagito con tutti gli attori, istituzionali e non, che facevano riferimento (nel 2021) al Centro per la Permanenza e il Rimpatrio di via Corelli a Milano.

[8] I ricorsi avverso i dinieghi di rinnovo o di revoca del permesso di soggiorno notificati durante la detenzione non sono di natura penalistica e la competenza del T.A.R. o del Tribunale ordinari, Sezione specializzata Immigrazione, varia a seconda del tipo di permesso di cui il detenuto è in possesso. I ricorsi in caso di diniego dello status di protezione internazionale sono di competenza del Tribunale ordinario - Sez. Immigrazione. Ogni ricorso è sottoposto a differenti termini di impugnazione, tranne quelli relativi ai permessi per motivi familiari (che non hanno termine di decadenza).

[9] Tutta l’impostazione del testo unico immigrazione (t.u. imm., d.lgs. 286/98 e s.m.i.) è incentrata sull’ostatività delle condanne penali alla permanenza in Italia dello straniero (in part. si v. art. 4, co. 3), salvi i giudizi di bilanciamento con il diritto al rispetto della vita privata espressamente previsti, il best interest dei figli minori ad alcune condizioni (art. 31) e i divieti di espulsione (art. 19).

[10] Controversa la prassi del servizio per le tossicodipendenze interno al carcere che chiede il possesso almeno di una fotocopia di un documento di identità per una presa in carico comunitaria dello straniero tossicodipendente. In realtà, la circolare del Ministero della Sanità n. 5/2000, in attuazione dell’art. 35 t.u. imm. e dell’art. 43 reg. att., prevede che anche in favore di coloro che sono completamente sprovvisti di documenti di identità (oltre che di un titolo di soggiorno) devono potere accedere al servizio, attraverso l’attribuzione del codice STP. Si  applicano le disposizioni  di  cui  al  “Testo  unico  delle  leggi  in materia di disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze psicotrope, prevenzione, cura  e  riabilitazione  dei  relativi  stati  di tossicodipendenza”, emanato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 e  successive modificazioni ed integrazioni, ed in particolare il  titolo  VIII , capo II, anche in relazione a quanto disposto dal  decreto  legislativo  22 giugno  1999,  n.  230 (Riordino  della medicina penitenziaria), nonché il titolo X “Servizi per le tossicodipendenze” e il titolo XI “Interventi preventivi, curativi e riabilitativi”.

[11] La questione dell’accertamento dell’età del minore straniero non accompagnato è stata oggetto di modifiche normative da parte del d.l. 133/2023. Sul tema di v. O. Fiore, Minori stranieri non accompagnati: dalla tutela alla diffidenza. Il cambiamento di prospettiva nelle riforme contenute nel d.l. 133/2024, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2024, 1.

[12] Detta circolare dovrebbe essere a regime, ma se ne evidenziano ancora alcuni problemi applicativi.

[13] La domanda va presentata tramite il direttore del carcere (ufficio matricola) che deve inoltrarla alla questura. Sul punto si v. Cass. civ. sez. VI, n. 6780/2017, che offre una particolare interpretazione dell’art. 10, co. 4, d.P.R. 394/99 (reg. att. t.u. imm.).

[14] Tema rilevante perché lo status di protezione internazionale, se riconosciuto, è permanente – a prescindere dal titolo di soggiorno – e solo nei casi tassativamente previsti può essere revocato. Diverso il discorso relativo ai chi si era visto riconoscere una protezione nazionale, abrogata dal c.d. decreto Cutro.  

[15] La detenzione amministrativa in molti casi non realizza lo scopo di espellere effettivamente gli stranieri destinatari della misura, i quali – per scadenza termini o non convalida delle proroghe richieste dalle questure al Giudice di pace  – restano sul nostro territorio con in mano un ordine di allontanamento. I termini di durata del trattenimento sono stati aumentati fino a diciotto mesi dal d.l. 124/2023, conv. con modd. nella l. 162/2023.